Lydia Davis, traduttrice americana, ne ha individuati due riflettendo sulla propria traduzione di Madame Bovary in questo interessante articolo pubblicato sulla Paris Review.
- Il primo peccato, secondo la Davis, consiste nel mettere in bocca a personaggi del passato termini o espressioni moderne, che hanno cominciato a circolare in epoca successiva a quella in cui è ambientato il romanzo. In una traduzione di Madame Bovary presa in esame dalla Davis, ad esempio, un personaggio che in teoria dovrebbe vivere nel 1830 esclama: "No way!", come farebbe un americano dei nostri giorni.
L'esempio è estremo, ma il peccato è insidioso: ai traduttori letterari di oggi può infatti sfuggire che una certa parola o locuzione (ma non è certo il caso di "No way!"...) abbia iniziato la propria vita linguistica nel 1890 invece che nel 1830, visto che al nostro orecchio può suonare comunque arcaica. - Il secondo peccato consiste nell'adeguarsi alle scelte traduttive dei precedenti traduttori di quel testo (o, aggiungiamo noi, a quelle dei traduttori di quel testo nelle altre lingue che conosciamo). Nel caso di opere molto note, infatti ci possiamo confrontare con una o più traduzioni attestate (in italiano e/o altre lingue a noi note) e può essere utile andare a scoprire quali scelte abbiano compiuto i nostri colleghi nei punti più difficili. Utile sì, ma anche pericoloso: non è detto che gli altri ci abbiano visto giusto, e allora ecco che può capitare di ripetere la scelta e perpetuare l'errore.
Come comportarsi quando siamo tentati di cadere in uno di questi peccati?
Nel primo caso, si può consultare Ngram Viewer, lo strumento di Google che riporta la "data di nascita" e la frequenza d'uso delle parole; nel secondo caso si tratta di riflettere sulla questione utilizzando anche gli strumenti online e consultando i colleghi su forum e liste e poi di fare con coraggio la propria scelta, anche se diversa da quella dei traduttori che ci hanno preceduto.
Tu che cosa ne pensi?
Una nota sull'immagine: nell'edizione americana il nome della traduttrice è in copertina.
Anche in Italia potrebbe essere così: l'art. 33 del Regio decreto n. 1369/42, che costituisce il regolamento per l’esecuzione della Legge sul diritto d’autore italiana, dà agli editori l'alternativa tra pubblicare il nome del traduttore in copertina oppure sul frontespizio. Ogni altra collocazione (ad esempio nel colophon, come spesso accade) è in contrasto con la legge: tienilo presente al momento di firmare il contratto e di rivedere le bozze.
Sul punto 1; a volte, tuttavia, quando si hanno traduzioni non recenti di opere del passato, si ha l'impressione di un linguaggio 'superato'. Cito a memoria 2 esempi. La traduzione del 'diario del seduttore' di Kierkegaard nell'edizione BUR credo sia alquanto vecchia e tra l'altro si riporta un'introduzione di Cantoni (che, ad occhio, sarà del 1952, se non prima). In questo modo si ha un'impressione di 'arcaismo', dovuta non tanto a Kierkegaard, ma alla 'vecchiezza' delle traduzioni e dell'introduzione.
RispondiEliminaUn'impressione analoga l'avevo avuta leggendo Mosse sulle origini del nazismo, si vede che la traduzione è vecchia almeno di 40-45 anni; anche qui si ha un linguaggio per noi 'datato' e senza che sia imputabile all'autore...
Infine proporrei un 3 quesito: come tradurre i neologismi 'del tempo'?
In Облако в штанах, Nuvola in calzoni, Majakovskij conia molti neologismi, che erano tali nel 1915; come li si traduce? come neologismi 'attuali' o passati?
Ciao Roberto!
RispondiEliminaGrazie per le tue riflessioni.
A proposito del primo punto, siamo d'accordissimo con te che è necessario ritradurre i testi comparsi in traduzione italiana 40-50 anni fa, perché inevitabilmente sono invecchiati: il tessuto della lingua suona antiquato alle nostre orecchie e per apprezzarli pienamente si sente la necessità di leggerli in una traduzione più recente. Altra cosa, però, è ritradurre un testo ambientato nel 1830, come Madame Bovary, e mettere in bocca ai personaggi parole come "allucinante" oppure "figata" (o il "No way" dell'esempio): all'epoca nessuno le avrebbe usate e dal nostro punto di vista sarebbe un errore farlo, un "peccato del traduttore".
Per il terzo quesito, quella che stai ponendo è forse la questione della traduzione modernizzante o arcaicizzante: quando traduco un testo del 1915, uso la lingua attuale (traduzione modernizzante) o mi sforzo di scrivere come farebbe un italiano dell'epoca (traduzione arcaicizzante)? Generalmente si modernizza, senza però utilizzare, come si diceva sopra, termini di uso evidentemente recente come "allucinante" o "figata".
A presto!