Se è normale scrivere "la maestra", perché deve suonare strano "la ministra"?
Nel primo caso si tratta di un ruolo tradizionalmente femminile, mentre nel secondo l'ascesa delle donne alle poltrone governative è relativamente recente e ancora limitata (nel governo attuale, ad esempio, si contano 2 ministre e 16 ministri, ossia una presenza femminile dell'11%). Per questo, cercando "ministra" sulla Treccani, si trova la dicitura "forma un tempo scherzosa...": il termine è stato inizialmente usato in senso ironico, ritenendo forse che in un gabinetto governativo una donna fosse fuori posto. E difatti non è stato ancora accolto dalle istituzioni: nonostante la presenza femminile in quella sede risalga al 1976, quando Tina Anselmi divenne ministra del lavoro e della previdenza sociale, il termine ufficiale per designare le donne che ricoprono questa carica è ancora al maschile: ministro.
Potrebbe sembrare un problema trascurabile, ma quello che non possiamo pensare (perché non abbiamo le parole per pensarlo) è come se non esistesse.
E allora, perché nella società si diffonda e si consolidi sempre di più l'idea che le donne sono perfettamente in grado di ricoprire gli stessi ruoli degli uomini, iniziamo dalla lingua, auspicando la presenza, sulle pagine dei giornali e nelle conversazioni di tutti i giorni, di tante ministre, chirurghe, sindachesse, architette... finché l'uso di queste parole non stonerà più alle orecchie di nessuno.
Per approfondire l'argomento, leggi questo articolo di Repubblica citato sul blog del movimento "Se non ora, quando?" che si impegna perché l'Italia diventi un paese per donne.
Leggi anche questa intervista alla prof. Cecilia Robustelli dell'Università di Modena e Reggio Emilia, che promuove un uso della lingua italiana rispettoso dell'identità di genere. La professoressa ha firmato queste utili Linee guida per l'uso del genere nel linguaggio amministrativo.
Ti segnaliamo anche il nostro post sulle pochissime strade d'Italia dedicate alle donne.
Nella foto: l'aviatrice americana Amelia Earhart (1897-1937), prima donna a trasvolare l'Atlantico in solitaria nel 1932 (l'impresa fino a quel momento era riuscita solo a Charles Lindbergh).
Vado in controtendenza: come donna, questo lotta al sessismo linguistico non mi convince affatto. Non è stabilendo delle regole artificiali a tavolino (in alcuni casi abbastanza astruse) che verrà eliminata la discriminazione, ci sono mille altri modi per farla, non regolamentabili (basti pensare a quando due laureati nella stessa materia vengono chiamati, nello stesso ufficio, dottore lui e signorina lei: succede tuttora!). Mi trovo d’accordo con Lorenzo Renzi, autore di Come cambia la lingua. L’italiano in movimento, quando afferma che la lotta al sessismo linguistico sembra basarsi su basi teoriche fragili. Fa notare, ad esempio, che in italiano esistono anche parole di genere femminile che hanno referente maschile, come la guardia, la sentinella, la guida, ma che nessuno le trova discriminatorie, e che si dà del lei anche agli uomini, con l’accordo che fino a poco tempo fa era obbligatoriamente al femminile, però questo uso non viene mai considerato in relazione alla tematica del sessismo linguistico. Renzi conclude “la lingua è in movimento, e con le raccomandazioni si rischia di voler muovere quello che si muove già, magari in qualche caso in direzione inversa, e perciò con grande sforzo e poco successo”. In effetti ho provato a chiedere a donne che fanno l’avvocato come preferiscono essere chiamate, se avvocata o avvocatessa e tutte hanno risposto senza esitazione avvocato! :-)
RispondiEliminaAggiungo i link ai due interventi apparsi in La Stampa il fine settimana scorso, È l'ora della sindaca e dell'architetta e Siete pronti a dire sindaca?
RispondiEliminaCiao Licia,
RispondiEliminagrazie per i tuoi spunti e i link, sempre preziosi! Ad esempio non avevamo riflettuto sulle parole di genere femminile con referente maschile o sull'uso del "lei"... interessante!
Sì, la lotta al sessismo linguistico fatta stabilendo delle regole a tavolino è faticosa e non è detto che funzioni. Ma può essere un modo per invitare le persone a riflettere sulle categorie che usano per analizzare la realtà: dire avvocata è strano perché la parola non viene mai usata o perché io non concepisco che una donna possa ricoprire quella posizione, tradizionalmente maschile?
Facendo un riflessione approfondita e sincera, alcune avvocatesse potrebbero scoprire che preferiscono chiamarsi avvocati perché vogliono sentirsi uguali ai colleghi maschi o per qualche altra ragione che ha più a che fare con la sociologia che con la linguistica.
I pregiudizi vengono interiorizzati e spesso chi li ha non è consapevole di averli, per questo pensiamo che una piccola forzatura linguistica possa servire a far riflettere su questioni che vanno ben al di là della lingua. Questa forma di lotta al sessismo non esclude tutte le altre forme spontanee che possiamo mettere in atto (ad esempio facendo notare che siamo dottoresse e non signorine: succede, eccome se succede!), anzi, le può e le deve affiancare e sostenere.
A presto!
Io sono convincibile del contrario, a fronte di buone argomentazioni, ma in partenza d'accordo con Licia. Recentemente ho avuto modo di conoscere la scelta in merito fatta decenni fa in Norvegia, per scoprire che la scelta, proprio per ragioni di rispetto di genere, è stata quella di non distinguere le parole.
RispondiEliminaUn motivo tra i tanti: quando contatto, cerco o consulto un avvocato, un medico, un ministro, non mi interessa (o se mi interessa, è per motivi particolari o, appunto, discriminanti) l'età, la città di provenienza, l'orientamento politico, che infatti nell'appellativo non vengono comunicati. Né dovrebbe interessarmi il sesso, che è ininfluente rispetto alla preparazione e competenza.
Poi, siamo tutti d'accordo che contro le discriminazioni occorre combattere, che queste discriminazioni di genere esistono ancora e che anche la lingua può contribuire a contrapporvisi. Poi, può non essere chiaro come farlo :-).
Angelo
Discussione decisamente interessante, l'ho ripresa anche nel mio blog :-)
RispondiEliminaPenso che la mia perplessità per le forme femminili che ancora non sono diffuse, come avvocata o peggio ancora avvocatessa, sia dovuto alla sensazione che in questo modo si voglia porre l'accento sul fatto che è una donna a ricoprire quel ruolo, mentre, come diceva Angelo qui sopra, il sesso dovrebbe essere del tutto irrilevante.
Non so se ci saranno cambiamenti o meno, però mi fa piacere che anche i media ne stiano parlando e se ne discuta anche tra chi non usa la lingua per professione come noi: maggiore consapevolezza per l'uso dell'italiano può fare solo bene!
Personalmente non trovo strano ministra (sempre meglio che "la ministro Fornero") o architetta, ma sindaca e avvocata sì: non capisco perché sindachessa e avvocatessa sarebbero offensive per le donne; sono per per caso offensivi dottoressa, professoressa e studentessa?
RispondiEliminaCiao Angelo,
RispondiEliminabenvenuto nella discussione! In effetti quello che descrivi mi sembra un bel punto di arrivo per l'Italia: quando davvero non farà più differenza che un professionista sia uomo o donna, ma conterà solo la sua preparazione, sarà un giorno di grande festa.
Purtroppo mi sembra che in Italia siamo ancora un passo indietro rispetto a questa situazione ideale: per molti (e molte!) non è affatto indifferente il sesso del professionista, anzi: non pensano proprio che una donna possa ricoprire lo stesso ruolo di un uomo.
Per questo ci sembra che possa essere utile, come primo passo, recepire e incoraggiare la presenza delle donne in ruoli tradizionalmente maschili anche attraverso la lingua. Poi, una volta dato per scontato che esistono ministri e ministre, avvocati e avvocate/sse, si potrà eventualmente passare al maschile neutro...
Per Remo e Licia:
RispondiEliminaneanche a noi è chiaro perché "avvocatessa" sia peggio di "avvocata" (o magari offensivo), per noi è lo stesso... Licia, che ne pensi?
Mah, io avvocatessa lo trovo abbastanza ridicolo, da presa in giro. Credo comunque che anche nelle varie raccomandazioni, a partire da quelle di Alma Sabatini, che per prima aveva trattato l'argomento, si sconsigli il suffisso -essa, proprio perché può avere connotazioni non positive. Addirittura, se ben ricordo, veniva suggerito di sostituire professoressa con professora e penso anche studentessa.
RispondiEliminaSapevo anch'io che c'era chi sconsigliava il suffisso -essa, il problema è che non se ne sanno l motivi e né si capiscono. E personalmente trovo controproducente andare contro un processo linguistico già in atto, solo per voler affermate un'assoluta parità che sarebbe minata solo dall'interfisso -ess-.
RispondiEliminaAggiungo un dettaglio che mi pare interessante e che ho appena riportato anche sul mio blog. Ho parlato di questo argomento con un avvocato e un magistrato, entrambi uomini, che mi hanno confermato che nel loro ambito sia uomini che donne usano il maschile con valenza neutra avvocato con riferimento al ruolo (il sesso della persona è irrilevante). Quando si dice avvocatessa, in genere è per questioni non legate alla professione, ad es. "l'hai vista l'avvocatessa XYZ?" segnala che si vuole commentare l'aspetto fisico di XYZ o comunque il suo essere donna – in questo caso il sesso della persona diventa rilevante.
RispondiEliminaGrazie, Licia!
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